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“Il Volo dell’Anima: Miyazaki dipinge il cielo dell’immaginazione”

L’ultimo capolavoro del maestro dell’animazione giapponese C “Il ragazzo e l’airone”, è un’opera che intreccia realtà e fantasia in un racconto ricco di significati profondi e allegorie coinvolgenti.

Nell’universo dell’animazione, dove le stelle sono fotogrammi e i pianeti sono idee, Hayao Miyazaki ha lanciato la sua ultima cometa: “Il ragazzo e l’airone”. Un’opera che danza sul filo tra sogno e realtà, dove l’inchiostro si fonde con le lacrime e il colore con le emozioni.

Immaginate un mondo dove gli aironi parlano e i pensieri prendono forma. Qui, Mahito, un giovane cuore ferito dalla guerra, si trova a navigare un oceano di memorie e possibilità. Il suo compagno di viaggio? Un airone enigmatico, metà guida spirituale, metà Caronte moderno, che lo traghetta attraverso le acque tumultuose del suo subconscio.

Miyazaki, come un alchimista dell’anima, trasforma il dolore in meraviglia. Ogni scena è un quadro vivente, dove creature fantastiche danzano al ritmo dei battiti del cuore di Mahito. La torre al centro di questo universo onirico si erge come un faro tra i mondi, un ponte sospeso tra la vita e la morte, il passato e il futuro.

Molto interessanti anche le scritte presenti.

La più evidente e di facile collegamento per lo spettatore occidentale, a maggior ragione italiano, è quella presente all’ingresso della misteriosa torre che recita “facemi la divina potestate”. Parafrasato in “mi ha creato il Padre”, proviene direttamente dal terzo canto dell’Inferno della Divina Commedia ed è parte della scritta presente sulla porta d’ingresso agli inferi, evidenziando la base dantesca del percorso di Mahito/Hayao.

La seconda scritta è invece presente sull’ingresso della tomba all’interno del mondo fantastico abitato da pellicani, parrocchetti e wara wara (anime umane non nate). Sulla cima del maestoso cancello dorato Miyazaki inserisce una criptica frase proveniente da un detto giapponese, ovvero: “colui che farà come me, morirà”. Questo potrebbe essere un monito connesso alla totalizzante vita creativa di Hayao, un’avvisaglia a chiunque voglia continuare il suo lavoro.

I Dipinti

 il regista giapponese ha disseminato molti riferimenti ad opere di artisti ma anche un chiaro omaggio ad un collega che da sempre ispira i suoi lavori. Associata alla tomba sopracitata, circondata dalle acque, è il dipinto L’isola dei morti di Arnold Bocklin, alla stanza caratterizzata dalle arcate è Mistero e melanconia di una strada di Giorgio de Chirico.

Abbiamo poi l’esterno del castello immerso nella foresta ispirato a Entrata della grotta nel giardino di villa Medici a Roma di Diego Velazquez, ed anche Il castello dei Pirenei di René Magritte che, dopo essere stata una delle fonti per realizzare Laputa – Castello nel cielo, è riconducibile alla pietra aliena/divina che veglia sopra il Prozio. Infine, passando al lato cinematografico, non poteva mancare la strizzata d’occhio a Federico Fellini e al suo 8 ½ quando Mahito libra nel cielo sopra la riva del mare.

In questo caleidoscopio di emozioni, le allegorie si intrecciano come liane in una giungla surreale. La perdita diventa un seme da cui germoglia la comprensione, il dolore si trasforma in ali per volare oltre l’orizzonte del conosciuto. Miyazaki ci sussurra che forse, solo perdendoci, possiamo davvero trovarci.

La morale della storia? Non è scritta a chiare lettere, ma vibra in ogni battito d’ala dell’airone. Ci suggerisce che la vita è un ciclo eterno, un nastro di Möbius dove inizio e fine si fondono. Accettare questa danza cosmica, con i suoi alti e bassi, le sue gioie e i suoi dolori, è la chiave per sbloccare la porta della saggezza.

Mahito impara che non può cancellare le cicatrici del passato, ma può trasformarle in mappe per navigare il futuro. La compassione diventa la sua bussola, l’empatia il suo timone. In un mondo dove le ombre minacciano di inghiottire la luce, il ragazzo scopre che il vero coraggio sta nel tendere la mano anche nell’oscurità più profonda.

“Il ragazzo e l’airone” non è solo un film, è un viaggio iniziatico, un rito di passaggio per lo spettatore. Miyazaki ci invita a spiccare il volo con Mahito, a perderci nei meandri della nostra immaginazione per ritrovarci, forse, un po’ più saggi, un po’ più umani.

Mentre i titoli di coda scorrono, ci ritroviamo come Mahito: cambiati, sfidati, arricchiti. E forse, guardando il cielo, vedremo un airone volare, portando con sé i nostri sogni e le nostre speranze, verso un orizzonte dove la magia di Miyazaki continua a vivere, eterna come le stelle.

Vi consiglio prima di guardare il film, e poi per approfondire di guardare il docufilm a puntate che racconta il processo di creazione del film (e non solo di questo) durato moltissimi anni. Una piccola curiosità che vi farà capire la dedizione totale ad un progetto del genere. Per realizzare la scena del terremoto che dura pochi minuti ci sono voluti TRE ANNI.

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