Alchimia dell’Eterno: Anselm Kiefer a Palazzo Strozzi
Nel cuore di Firenze, città eterna dell’arte, Palazzo Strozzi ha ospitato la mostra “Angeli caduti” che sfida il tempo stesso. Anselm Kiefer, il moderno alchimista dell’arte contemporanea, ha trasformato le sale rinascimentali in un laboratorio cosmico dove passato, presente e futuro si fondono in un abbraccio titanico.
Kiefer, con le mani sporche di terra e la mente immersa nelle stelle, crea opere che sono più di semplici quadri o sculture. Sono portali verso universi paralleli, dove la materia grezza si trasforma in poesia visiva. Il suo processo creativo è un rituale antico quanto il mondo e nuovo come l’alba di domani.
Immaginate l’artista nel suo atelier, un moderno Vulcano che forgia non armi, ma memorie. Kiefer inizia con la tela nuda, ma presto la ricopre di strati su strati di materiali improbabili: piombo fuso, paglia bruciata, terra arida. Ogni elemento è scelto non solo per il suo aspetto, ma per il peso della sua storia.
Le sue mani danzano sulla superficie, mescolando pigmenti con cenere, intrecciando fili di rame con pagine di libri dimenticati. Non c’è distinzione tra pittura e scultura nel suo mondo – tutto è materia da plasmare, da far crescere come un organismo vivente.
Osservando le opere monumentali che dominano le sale di Palazzo Strozzi, si percepisce il respiro del tempo. Kiefer non si limita a creare arte; evoca epoche intere. Le sue telemastodoniche sono mappe di un passato che non passa, di un futuro che è già qui.
In “Die deutsche Heilslinie”, una delle opere centrali della mostra, vediamo come Kiefer trasforma la storia in materia tangibile. Strati di piombo si accumulano come secoli compressi, mentre linee incise narrano storie di ascesa e caduta. È un processo di sedimentazione artistica, dove ogni pennellata, ogni incisione, ogni oggetto incastonato nella superficie è un capitolo di una narrazione cosmica.
Il processo creativo di Kiefer è un atto di distruzione e rinascita continua. Le sue opere non sono mai veramente finite; continuano a evolversi, a ossidare, a trasformarsi. Proprio come le rovine che tanto lo ispirano, le sue creazioni portano in sé i segni del tempo, invitando lo spettatore a diventare parte di questo flusso eterno.
Camminando tra le sale, si ha la sensazione di essere testimoni di un rito primordiale. Kiefer non crea solo con le mani, ma con tutto il suo essere. Ogni opera è un frammento del suo DNA artistico, un pezzo di un puzzle cosmico che forse solo lui può vedere nella sua interezza.
La mostra a Palazzo Strozzi non è solo un’esposizione, è un’esperienza immersiva nel processo creativo di un genio del nostro tempo. Kiefer ci invita a guardare oltre la superficie, a scavare negli strati della memoria collettiva, a toccare con mano la stoffa di cui sono fatti i sogni e gli incubi della nostra civiltà.
Uscendo da Palazzo Strozzi, si ha la sensazione di aver assistito non solo a una mostra, ma alla nascita di un universo. Kiefer, con il suo processo creativo alchemico, ha trasformato lo spazio e il tempo, lasciandoci con la vertigine di chi ha guardato negli abissi della creazione stessa.
In un mondo sempre più virtuale, Kiefer ci ricorda il potere della materia, la magia del tocco, l’eternità racchiusa in un granello di sabbia. La sua arte è un invito a creare, a osare, a trasformare. A essere, come lui, eterni apprendisti nell’arte di vivere e creare.
Dopo la mostra ho voluto approfondire il suo pensiero e ho acquistato il libro collegato alla mostra. Tra le pagine del libro ho scoperto che il regista Wim Wenders ha dedicato un docufilm all’artista. Si intitola “Anselm” ed è stato presentato in anteprima al Festival di Cannes nel 2023. L’ho visto, balsamo per la mente e gli occhi.
Sapete che a me piace giocre con la creatività e così ho immaginato di addentrarmi nella mente del’artista…..mi sono posta una domanda di partenza: “Chissà cosa prova, cosa sente quando crea?”
Nell’oscurità del mio studio, sento il peso del mondo sulle mie spalle. Sono Anselm Kiefer, e la mia mente è un vortice di immagini, ricordi e sensazioni che lottano per emergere. Le mie mani tremano, non per debolezza, ma per l’energia primordiale che scorre attraverso di me.
Davanti a me, una tela vuota. Bianca. Intimidatoria. La fisso, e vedo in essa tutti i dolori della storia, tutte le speranze dell’umanità. Il mio cuore batte più forte. Sento l’urgenza di creare, di dare forma al caos che mi abita.
Afferro un secchio di terra. La sua consistenza grumosa mi ricorda le macerie di città distrutte, le ceneri di libri bruciati. La spargo sulla tela con furia e dolcezza. Ogni granello è una vita, ogni grumo una civiltà. Le mie dita affondano nella materia, mescolando terra e colore. Sento la connessione con ogni epoca passata, ogni trauma dimenticato.
Un brivido mi percorre la schiena mentre aggiungo strati di piombo. Il metallo freddo contrasta con il calore delle mie emozioni. Lo manipolo, lo piego, lo fondo. In esso vedo le ombre della storia tedesca, il peso opprimente della colpa collettiva. Ma anche la possibilità di trasformazione, di redenzione.
Lacrime silenziose rigano il mio volto mentre intreccio fili di paglia nella composizione. Ogni filo è un verso di poesia, una preghiera sussurrata, un grido di dolore. La paglia, umile e effimera, diventa eterna nella mia opera. Sento una fitta di gioia mista a malinconia.
Ora, con gesti febbrili, scrivo nomi e date sulla superficie. Ogni parola è un portale verso un altro tempo. Mentre incido, rivivo guerre, rivoluzioni, momenti di gloria e di vergogna. Il mio corpo trema sotto il peso di queste memorie collettive.
Mi fermo un istante, sopraffatto. Respiro profondamente, sentendo l’odore di pittura, terra e metallo fuso. Chiudo gli occhi e vedo galassie, deserti, oceani. Tutto è connesso. Tutto è materiale per la mia arte.
Con rinnovata energia, aggiungo cenere e frammenti di vetro. Ogni pezzo riflette una parte frammentata della mia anima, della nostra storia condivisa. Sento un’euforia crescente mentre l’opera prende vita sotto le mie mani.
Le ore passano, forse i giorni. Il tempo perde significato quando creo. Sono esausto, eppure colmo di una strana vitalità. Finalmente, faccio un passo indietro.
Guardo l’opera completata e sento un miscuglio vertiginoso di emozioni. Orgoglio, per aver dato forma all’informe. Umiltà, di fronte al mistero della creazione. Tristezza, per tutte le storie racchiuse in quest’opera. E una scintilla di speranza, perché attraverso l’arte, forse, possiamo trascendere il nostro passato.
Sono svuotato, eppure pieno. Ho creato un universo su questa tela, ho dato voce al silenzio della storia. E già sento il richiamo della prossima opera, il prossimo viaggio nell’abisso della creazione.